|
Del
Carnevale
Fra Gennaio e Marzo la Toscana brulica di preparativi per le
sfilate del Carnevale. Il più sontuoso è quello
di Viareggio,
ormai famoso in tutto il mondo, ma non è lunico.
Mappa alla mano, provate a puntare il dito in un punto qualunque
della nostra regione: anche lì si stanno preparando carri
fiammeggianti, maschere favolose, costumi sgargianti o bizzarri.
Ovunque le strade saranno coperte da milioni di coriandoli colorati
e stelle filanti, bambini piccoli e grandi a rincorrersi per
le strade finalmente chiuse al traffico e restituite alla gente.
A cena, anzi dopo cena, le tavole di ogni cucina saranno arricchite
da vassoi traboccanti di "cenci", i dolcetti tipici
del carnevale che, lunghi, schiacciati e dalla forma irregolare,
assomigliano appunto a un "céncio", che in
Toscana sta per "straccio". Fatti con farina, uova,
zucchero, scorza di limone e una goccia di vinsanto, una volta
sul vassoio vengono poi cosparsi di zucchero a velo. Come dolce
è un dolce povero, e gli ingredienti sono quelli di una
cucina tipicamente contadina. Nella nostra tradizione, infatti,
il Carnevale è una festa sanguigna e schietta, che nella
storia ha raggiunto vertici di partecipazione tali che, al confronto,
i coriandoli e le stelle filanti di oggi sono acqua tiepida.
Proviamo, infatti, a tornare indietro nel tempo: per esempio
al 1701, trecento anni fa, in una piazza qualunque di una qualunque
città toscana. Scopriremmo che il clima di Carnevale
vi aveva inizio già alla fine di Dicembre e le scorribande,
gli scherzi, le rappresentazioni teatrali continuavano ad intermittenza
per tutta la stagione fino allavvento della Quaresima.
Il Martedì Grasso, ultimo giorno di festa e culmine dei
festeggiamenti, era spesso descritto come un tempo di "tanto
bollire e arrostire, tanto stufare e fermentare, tanto cuocere
al forno, friggere, divorare e rimpinzarsi a crepapancia, che
si sarebbe detto che la gente facesse in un sol colpo provviste
per due mesi nella pancia, o che si zavorrasse il ventre di
carne per un viaggio a Costantinopoli o nelle Indie Occidentali".
Siccome a Carnevale tutto era concesso, anche il sesso era un
ingrediente fondamentale: si racconta che, non di rado, le signore
rimanevano colpite dallesibizione di falli di legno "dalle
dimensioni di un cavallo" che venivano portati in giro
per le strade. Il Carnevale era la festa delleccesso,
dello sfogo, del ribaltamento dei vincoli morali e sociali,
era il "mondo alla rovescia". In quel 1701 incontreremmo
contadini o mercanti travestiti da nobili ad insultare e comandare
i nobili travestiti da donna, e le donne, travestite da uomo,
a rimproverare e lanciare uova ai propri mariti. Incontreremmo
cortei di carri da cui sintonano canti maliziosi o addirittura
osceni, finti poveri che fanno lelemosina ai ricchi, laici
che dicono messa e così via.
Anche la violenza era spesso tollerata: si sa, ad esempio, di
bande di giovani con le tasche piene di uova che si recavano
a teatro per lanciarle agli attori appena entrati in scena.
Immagino che le risa finissero in pianto quando qualcuno, a
corto di uova, si arrangiava con i sassi raccolti per strada
Il Carnevale era certamente sentito, molto più di oggi,
come una valvola di sfogo per una vita che durante tutto il
resto dellanno era vissuta dalla maggior parte della gente
con rinunce e privazioni, spesso con la paura della miseria
e della fame. Il Carnevale scacciava tutte queste paure e anzi
infondeva nuove speranze. Chissà, forse per questo ha
il suo momento culminante proprio alla fine dellinverno,
quando i profumi della primavera già si avvertono vicini.
Tornando ad oggi, se state progettando di venire in Toscana,
vi renderete conto direttamente che la tradizione del Carnevale
è ancora molto forte. Ogni borgo o città ha il
suo di cui andare orgoglioso, perciò non voglio consigliarvene
uno in particolare per non fare differenze. Mi limito a segnalarvene
alcuni, i primi di cui ho trovato qualche pagina sul web; quello
di Orentano,
uno tra i più famosi per i bambini; quello famosissimo
di Viareggio.
Damiano Andreini
|
|
|