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«...Più
che la fame, poté il digiuno»:
Il Conte Ugolino
Di solito non ci siamo soffermati su
elementi di cronaca. Questa volta però, per usare un' espressione
che risulterà infelice, l'occasione è davvero ghiotta:
da qualche giorno, infatti, nella duecentesca chiesa di San
Francesco a Pisa, si sta procedendo alla riesumazione delle
ossa più misteriose e dibattute della nostra storia, quelle
appartenute al Conte Ugolino della Gherardesca, lì sepolto
nel 1289 insieme ad altri quattro fra suoi figli e nipoti.
Storicamente, la vicenda del Conte Ugolino si lega al tramonto del
grande impero navale di Pisa, una città che nel '200 disponeva
di una flotta grandiosa e commerciava da protagonista in tutti i porti
del Mediterraneo, dalla Provenza fino alle ricche città islamiche
della Palestina. Dalla metà del secolo accadde però
che altre potenze vicine iniziarono a minacciarne l'egemonia: Genova
(la seconda potenza navale), Firenze (appena agli albori di uno sviluppo
grandioso) e Lucca.
Nel 1284 i genovesi sconfiggono in mare la flotta
pisana, decretandone un lento ma irreversibile declino. Poco dopo,
il Conte Ugolino che non aveva avuto responsabilità nella sconfitta
è eletto, già settantenne, nuovo Podestà dai
pisani.
A questo punto però, Pisa è fortemente indebolita e
Ugolino sa che un eventuale attacco via terra da parte di Firenze
e di Lucca sancirebbe il tracollo della sua città. Decide così
di cedere alle due rivali alcuni castelli di confine per tenerne a
bada i propositi aggressivi. Forse proprio questa mossa però
segna la sua rovina: alcune potenti famiglie pisane hanno un buon
pretesto per accusarlo di tradimento e, dopo averlo destituito, lo
rinchiudono, insieme ai figli e ai nipoti, in una torre
che si affaccia su piazza dei Cavalieri
(a due passi dalla torre pendente). Sprangate le porte dall'esterno,
Ugolino ed eredi sono crudelmente condannati a morirvi di fame.
Fin qui la storia, peraltro dai più ormai dimenticata; l'altra
storia, quella che nessuno - tra il terrore e il disgusto - ha potuto
dimenticare, aggiunge un elemento agghiacciante: Ugolino, negli ultimi
giorni di agonia nella torre, si sarebbe cibato della carne dei suoi
figli
Ricordo che quando eravamo piccoli avevamo il terrore di passare dalle
parti della "Torre della Fame": da sette secoli i bambini
della Toscana pensano a Ugolino della Gherardesca come all'emblema
della più crudele mostruosità. Ma com'è nata
questa storia e quanta verità c'è davvero in essa? Dante
Alighieri, nella sua immensa e "divina" Commedia, racconta
l'incontro con Ugolino nei meandri più profondi dell' inferno
(Inf.
XXXII, 124 - Inf.
XXXIII, 90) atto a rosicchiare il teschio dell'Arcivescovo
pisano Ruggieri, uno tra gli avversari politici che in vita lo avevano
rinchiuso nella torre.
Questa è la sua eterna "pena", ma quando
si accorge dell' arrivo di Dante, comincia a raccontargli la sua storia,
il suo peccato (che è stato quello di aver tradito la patria
pisana) e gli ultimi tragici momenti della sua esistenza: i figli,
rinchiusi con lui nella torre, vedono il padre mordersi le mani per
il dolore di una morte annunciata; alla vista di questo gesto, interpretato
come un segno della fame del padre, i figli offrono - estremo gesto
di amore filiale - di essere mangiati dal padre. Ma a quel punto Ugolino,
per non suscitare ulteriore disperazione nei figli, rinuncia ad ogni
espressione e si chiude nel proprio dolore. Passano alcuni giorni
e i figli, uno dopo l'altro, muoiono di fame.
L'evento tragico raccontato da Ugolino a Dante si chiude con quest'ultimo
verso: "poscia, più che 'l dolor, poté il digiuno"
("dopodiché, più che il dolore, poté il
digiuno."). Molti hanno interpretato quest'ultimo verso come
allusione a un presunto atto di cannibalismo, e così ci è
sempre stato tramandato. Dopo quelle parole, Ugolino non parla più
con Dante, tornando a rodere il teschio del suo fatale avversario
in vita, l'arcivescovo Ruggieri.
Ho letto e riletto i versi del poema dedicati da Dante all'incontro
infernale con il Conte Ugolino. Molte parole pronunciate da quell'
infelice sono in realtà di una disperata tenerezza verso i
figli, costretti ad una morte tanto terribile quanto ingiusta ("
per
due giorni continuai a chiamarli dopo che furono morti
").
Dante stesso, quasi contemporaneo del Conte, sembra nutrire una profonda
compassione per quei giovani e l'unica colpa che fa al loro padre
è di "aver tradito te [ Pisa ], delle castella [cedute
a città nemiche]" e solo per questo immagina che egli
si trovi all'inferno.
"Più che il dolore, poté il digiuno
"
è un verso che il Conte pronuncia per alludere alla propria
morte; una morte che arrivò, ahimè, solo quando la fame,
più potente del dolore, gli tolse la forza per continuare a
chiamare i suoi figli. D'altra parte, la pena che sconta all'inferno
il suo vecchio rivale Ruggieri è certamente peggiore della
sua: lui sì, secondo Dante, fu responsabile di un'azione ignobile,
e così ne sconta in eterno le conseguenze più gravi.
Un ultimo elemento, a mio avviso, potrebbe definitivamente scagionare Ugolino: può
un uomo del XIII secolo e quasi ottantenne masticare qualcosa più
duro di una minestrina? I topi, quelli sì, hanno denti forti
ed affilati
Tutto sommato, nell'attesa di conoscere i risultati
della campagna di riesumazione attualmente in corso a Pisa, possiamo
- io credo - tornare a dormire tranquilli.
Damiano Andreini
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