Vorrei introdurvi la storia di una donna vissuta circa cinquecento
anni fa in un paese della Toscana sito a metà strada
fra Pisa e Firenze. Una donna non più giovane (considerato
che al momento in cui si svolsero i drammatici fatti che la
videro protagonista era vedova e aveva all'incirca cinquant'
anni) né ricca, visto che si guadagnava da vivere facendo
la levatrice; se fosse bella, questo è un dato che
il Tribunale della Santa Inquisizione non registrò...
Nel 1594 nel castello di Lari, vicino a Pisa, due donne e
due uomini, di fronte a un notaio e al vicario del vescovo
di Lucca, accusano Gostanza da Libbiano di aver provocato
la morte di alcuni bambini per mezzo di pratiche stregoniche;
Gostanza,
interrogata al processo che si svolse a San
Miniato (come detto a metà strada tra Pisa
e Firenze), ammette di aver usato alcuni unguenti e di aver
posto sulle partorienti una candela in segno di buon augurio,
ma nega di aver causato la morte dei neonati.
Di lì a pochi giorni però la testimonianza di
un'altra donna aggrava la posizione di Gostanza, e l'inquisitore
la sottopone alla tortura della fune. Appesa ad una corda
che le strazia le braccia, Gostanza ammette di aver provocato
malefici ai danni di diverse persone. Nei giorni successivi,
ogni volta che la tortura si ripete, la povera donna, disperata
all'idea di nuove torture, incrementa la dose delle sue confessioni.
Arriva perfino ad ammettere di avere rapporti ravvicinati
con svariati demoni,
di assumere la forma di un gatto nero per succhiare il sangue
dei bambini, di rubare le ostie consacrate per friggerle in
padella e offrirle in sacrificio a "Polletto", il
demone con la quale ha periodici rapporti carnali.
Gostanza è praticamente ad un passo dal rogo quando,
il 19 novembre dello stesso anno, al processo interviene un
nuovo inquisitore fiorentino, Dionigi da Costacciaro: uomo
di solida cultura, si accorge che le confessioni di Gostanza
sono piene di luoghi comuni (il nomignolo del demone, la frittura
di ostie, il gatto nero, i rapporti carnali con il diavolo),
ingenui elementi di un repertorio di immagini alla portata
di tutti, e decide di tenerla in carcere ancora per alcuni
giorni interrompendo la tortura. L'inquisitore la interroga
altre volte; il 24 Novembre, infine, Dionigi chiede a Gostanza
se voglia ancora confermare ogni cosa: la vedova,
esausta, spiega che è tutto falso, e di aver raccontato
quelle storie per la paura della fune. Il 28 Novembre il processo
si chiude con l'assoluzione di Gostanza che viene riconosciuta
innocente, ma l'inquisitore intima la donna di non usare più
pozioni terapeutiche e di trovarsi un'altra casa in un'altra
città.
Alla fine, nel giudizio su Gostanza, prevalse il buon senso,
ma questa vicenda, tra le molte altre simili che gli archivi
ci tramandano, si svolse nel periodo più virulento
della "caccia alle streghe" e purtroppo non tutte
le presunte "streghe" poterono contare sulla lungimiranza
di un inquisitore come il nostro Dionigi. La tortura era ritenuta
uno strumento di indagine eticamente corretto, e gli stessi
elementi che fecero scagionare Gostanza furono sufficienti
a condannare altre donne al rogo. Ma questo è un altro
discorso, sul quale avremo senz'altro modo di ritornare.
Se vi ho parlato di Gostanza è anche perché
recentemente è stato girato un film su di lei e sulla
sua vicenda di strega "per forza": la regia è
di Paolo
Benvenuti, e il film è interamente ambientato
nella zona di San Miniato, 35 Km. ad est di Pisa, proprio
dove Gostanza fu processata e infine assolta. Se poi volete
approfondire la vicenda di Gostanza, c'è un libro reperibile
in rete che offre anche risvolti interessanti da un punto
di vista antropologico: Lombardi, Marilena and Franco Cardini.
Gostanza, la strega di San Miniato: Processo a una guaritrice
nella Toscana medicea. Roma: Laterza, 1989. Parlando di castelli
abbiamo citato quello di Lari, dove Gostanza fu inizialmente
accusata di essere una strega, e a tal proposito vi consiglio
di visitare il sito: www.castellitoscani.com.
Damiano Andreini
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