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Ilaria
del Carretto:
Il "Tesoro" di Lucca
Mi accorgo che nel corso di questo nostro viaggio in Toscana,
non ci siamo ancora fermati a Lucca. In realtà questa
città merita ben più di una sosta, non fosse altro
che per la sua storia millenaria, i suoi straordinari tesori
d'arte e d'architettura, i suoi ameni giardini aristocratici.
Mi dovrà perdonare chi ha visitato Lucca e l'ha amata,
come molti hanno fatto, sopra ogni altra città toscana.
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Il fatto è che Lucca è Lucca, si direbbe perfino
poco Toscana: la si scopre ai piedi di non una ma tre montagne
che la proteggono come uno scrigno: il Monte Pisano, le Alpi
Apuane e il monte Barbona, quattromila metri in tutto di marmo
bianco e Verrucano. Eppure, quasi che i monti non bastassero
a garantirne l'orgogliosa indipendenza dal resto della Toscana,
Lucca si è dotata nel '500 di una imponente cinta di
mura, solidissime e invincibili. Le sue cento chiese e i suoi
eleganti palazzi cittadini sono rimasti così al sicuro
per secoli: il Granducato di Toscana, la grande macchina statale
guidata da Firenze, non è mai riuscita a includere Lucca
fra le sue città.
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Mi è sempre piaciuto pensare che un così forte
isolamento e un tale bisogno di protezione celassero un tesoro,
nascosto da qualche parte nella città e custodito gelosamente
da tutti i lucchesi. Certo, l'ho già detto, in giro per
Lucca
di tesori ce ne sono molti, eppure nessuno in fondo mi sembrava
così prezioso da mettere in ombra tutti gli altri. Finché
invece, alcuni anni fa, sono entrato nella cattedrale di San
Martino.
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Lì infatti, ahimè non ultimo e non solo, finalmente
ho capito: il tesoro ha un nome, ha un'età, due mani
congiunte e dita lunghe e affusolate; il tesoro ha un volto
sereno, pelle liscia e chiara sotto pallidi raggi di luna; il
tesoro ha un manto candido e un letto con cuscini di seta e
drappi di velluto. Il tesoro ha occhi socchiusi e un coro di
angeli attorno ad allietarne il sonno.
Ilaria del Carretto, figlia dei marchesi di Savona, giunse a
Lucca dalla Liguria nel 1403, ancora diciassettenne, e fu seconda
sposa di Paolo Guinigi, signore della città toscana.
Dalla loro unione nacque il primogenito Ladislao, ma appena
due anni dopo, l'8 dicembre del 1405, Ilaria non sopportò
la fatica di un secondo parto.
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Paolo pensò che la giovane bellezza di Ilaria dovesse
meritare lo stesso onore che si riservava a una regina o a una
santa; così la trasfigurò, incaricando Jacopo
della Quercia, scultore incline a raffinate espressioni cortesi
ma anche capace di un classico e solenne contegno, di sublimare
nel marmo il proprio amore per lei.
Questa volta non è lecito discutere di forma, di stile,
di arte. Considerazioni fredde e lontane dalla commozione e
dal dolce fremito che Ilaria, con i suoi occhi socchiusi e le
labbra appena accostate, sa ancora procurare a chi la guardi
da molto vicino.
Qualcuno ha detto che Ilaria, come la si può contemplare
nelle sue immortali sembianze, "non è ascesa al
cielo, è discesa dal cielo". Se vi capiterà
di farle una visita, vi accorgerete che la piccola sacrestia
della Cattedrale di Lucca, dove appunto Ilaria riposa adagiata
sul suo morbido letto di marmo, è il luogo più
prezioso di una città che sa custodire a lungo i propri
tesori.
Damiano Andreini
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