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... La Toscana raccontata (senza fretta) da Damiano Andreini
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La “Trinità” secondo Masaccio
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Nel 1401, esattamente 600 anni fa, Giovanni di Mone Cassai di professione notaio e monna Jacopa di Martinozzo salutavano, nell’intimità di un piccolo borgo poco fuori Firenze, il secolo nuovo e l’arrivo del loro primo figlio: Tommaso. Raccontata così, questa vicenda potrebbe assomigliare a una banale storiella di clima natalizio: uno non s’immagina che quel Tommaso sarebbe presto diventato, con il soprannome di Masaccio, il primo pittore del Rinascimento fiorentino. Divertiamoci a curiosare un po’ nella sua epoca e nella sua arte…

Tornando dunque a Masaccio, lo troviamo stabilmente a Firenze nel 1417. Divenne ufficialmente pittore nel 1422, quando s’iscrisse all’Arte dei medici e speziali. Che c’entrano i medici e gli speziali? Ecco una prima curiosità: a quel tempo la pittura (anche la scultura) era considerata un’arte minore, quasi al pari dell’artigianato. Le accademie non esistevano ancora e il pittore, per acquisire una certa professionalità, era costretto a iscriversi all’Arte (Associazione) dei Medici e Speziali: i colori, estratti per lo più da spezie di cucina e da minerali usati anche in campo medico, erano forniti ai pittori proprio dai commercianti di quell’Arte.

Insieme a Masaccio, gli altri due padri fondatori del Rinascimento artistico furono l’architetto Filippo Brunelleschi e lo scultore Donatello. Oltre al fatto che i tre furono amici non vi dirò altro per non confondervi le idee.

Ciò su cui invece vorrei soffermarmi è un affresco, realizzato da Masaccio all’età di 26 anni (1427), sulla parete sinistra nella chiesa domenicana di Santa Maria Novella a Firenze: “La Trinità”, vero e proprio manifesto della pittura rinascimentale. Guardiamolo insieme: alto più di 6 metri per tre di larghezza, l’affresco rappresenta Dio Padre che sorregge, mostrandolo agli uomini, il Cristo crocifisso; tra i due sta volando, silenziosa, una colomba, simbolo dello Spirito Santo. Ai piedi di Cristo: la Madonna e San Giovanni.

Il gruppo sacro è inserito in una struttura architettonica (una cappella) che idealmente lo separa sia da noi che dai due signori inginocchiati più in basso ai lati della scena, vestiti lui di rosso, lei di blu: sono i coniugi Cardoni, facoltosi committenti dell’affresco, i quali dunque, oltre a pregare, ricordano ai posteri la gloria della loro “generosa” famiglia… Sotto di essi, un sarcofago (o un altare) su cui è adagiato uno scheletro che, per mezzo di una scritta orizzontale, esprime un concetto piuttosto chiaro…: ‘Io fui già quel che voi siete, Quel ch’io son voi anco sarete’.

L’affresco ha in se tutti i crismi dell’arte nuova: un impianto prospettico perfetto; una cornice architettonica in cui ogni singolo elemento – capitello, colonna, arco, volta - deriva dai modelli dell’architettura della Roma antica; infine, un inedito realismo nella rappresentazione dei corpi e delle espressioni dei personaggi, ormai persone “vere” e non più, come nella tradizione medievale, icone schiacciate contro una parete dorata; a proposito di questo, fate caso a un virtuosismo: il committente Cardoni, sulla sinistra, ha un orecchio piegato dall’orlo del copricapo rosso! Nessun elemento invece della tradizione gotica, né a livello d’impianto generale, né di singoli elementi decorativi: i personaggi sono inseriti in uno spazio che ci appare credibile, verosimile, perché organizzato secondo un saldo impianto prospettico.

Sembra che l’aria della chiesa in cui ci troviamo, coi suoi profumi di candele e di incensi, possa penetrare all’interno del quadro e circolarvi liberamente. Così, di fatto, anche noi spettatori siamo chiamati a far parte di quello spazio. Anzi, il gesto della Madonna che si rivolge a noi indicandoci suo figlio, significa che noi spettatori siamo la continuazione ideale dell’affresco. Con la Trinità di Masaccio, l’opera d’arte è diventata, per così dire, interattiva con il suo pubblico. Certo, oggi che abbiamo dimestichezza con la computer-grafica, con la realtà virtuale e quant’altro, la portata rivoluzionaria di questo quadro può sembrarci modesta, ma per la gente d’allora fu una novità sconvolgente.

Masaccio purtroppo non conobbe la vecchiaia, e tutte le stupende opere che ha dipinto risalgono a prima del 1428, anno in cui, giovanissimo, morì. Eppure, il clamore della novità che aveva lasciato con l’affresco della Trinità era ancora forte più di cent’anni dopo: “Ma quello che vi è di bellissimo oltre alle figure è una volta…spartita in quadri…che scortano (cioè “si scorciano” in prospettiva, ndr) così bene che pare che sia bucato quel muro.” (G. Vasari).

Se Firenze è una meta irrinunciabile per chi viene in Toscana, allo stesso modo ritengo che la Trinità di Masaccio nella Chiesa di Santa Maria Novella (proprio di fronte alla Stazione) sia una tappa fondamentale per chi voglia apprezzare l’arte del nostro Rinascimento.

Damiano Andreini

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