E' il momento di dedicare una sezione alla storia dell'arte
toscana, per evidenziarne soprattutto quegli elementi che meglio
la collegano al carattere e all'immagine della nostra terra.
Così sono tornato a scorrerne le immagini: prima a memoria,
poi su alcuni libri; ma l'immenso patrimonio artistico della
nostra regione offre infiniti spunti di discussione.
In effetti c'è un leit motiv, quasi una costante, che
tiene legati come perline di una collana sia gli affreschi che
i dipinti di oltre mille anni d'arte toscana: non è un
elemento di stile nonostante che, senza le sue geometrie, l'effetto
stilistico di molte opere d'arte non sarebbe lo stesso; non
è un dato iconografico, anche se, senza di esso, il significato
del quadro ne risulterebbe appiattito. Si tratta di un albero,
più precisamente dell'albero-simbolo della nostra regione:
il Cipresso.
Prima di tutto, va detto per onestà che il Cipresso non
è nato in Toscana: la sua culla è nel bacino del
Mediterraneo orientale, idealmente fra la Persia (attuale Iran),
l'Egitto e la Grecia, dove infatti vegeta spontaneamente. In
Italia
fu importato dai Fenici e dai Greci e in Toscana, insieme a
tutto il resto, certamente dagli Etruschi. Ciò ci interesserebbe
poco se non si dicesse che il Cipresso, molto prima di abbellire
i viali
e i giardini
sulle colline toscane ha avuto un'importanza ornamentale e simbolica
praticamente ininterrotta per 3000 anni. Cipressi snelli e slanciati
venivano regolarmente introdotti nei giardini dei leggendari
palazzi persiani. Ugualmente ad Atene se ne sottolineava con
piacere l'intrinseca eleganza formale.
Gli Egizi esaltavano la nobiltà della sua fibra utilizzando
esclusivamente il cipresso per costruire i sarcofagi per la
sepoltura dei defunti. Anche Etruschi e Romani ne collegarono
il significato simbolico alla sfera mortuaria: per l'usanza
di piantare alberi di cipresso intorno ai cimiteri e alle singole
tombe di personaggi illustri - adducendo il motivo che la profumata
resina di cipresso fosse capace di coprire l' odore dei defunti
- la sua immagine fu presto colorata di un alone
funereo.
Molto meno funerea era l'immagine che gli artigiani avevano
del legno di Cipresso, utilizzato da tutti e da sempre perché
praticamente incorruttibile al tempo e alle intemperie. Con
la sua fibra fitta, compatta e regolare, è pregiato per
qualunque realizzazione, dagli scafi delle navi ai portoni di
ville e palazzi, dai mobili lussuosi agli strumenti musicali
più raffinati. Non solo: secondo la Bibbia l'arca di
Noè era costruita di Cipresso, e anche per la Croce di
Cristo, secondo la tradizione si utilizzò questo legno
oltre al cedro e al pino. Dunque anche in ambito giudaico e
poi cristiano il Cipresso era considerato un simbolo di eternità,
al pari del Cedro, il che ci riporta immediatamente in Toscana.
Durante il Medioevo, il Cipresso era la pianta che accompagnava
la fondazione e la vita di ogni convento e monastero: i cipressi
servivano da barriera frangivento, come delimitazione dello
spazio sacro da quello laico, ed avevano anche una funzione
simbolica: collegandosi alla tradizione biblica, che individua
al centro della Gerusalemme Celeste l'albero della Vita, i monaci
erano soliti piantare al centro del loro chiostro un albero
di Cipresso o di Cedro, così da richiamare l'immagine
dell'eterna città che brilla «pari a una gemma
di diaspro cristallino». Dunque, da oltre mille anni,
il cipresso è l'inseparabile compagno di ogni chiesa,
pieve o convento
lungo tutta la campagna toscana: vi rappresenta un simbolo di
immortalità (il cipresso è un albero sempreverde,
e il suo legno è resistente nei secoli, è spesso
richiamato dalla tradizione biblica), di distacco dal "mondo"
e ha anche l'importante funzione di contrastare il vento che
intorno agli edifici sacri, costruiti di solito alla sommità
delle colline, è spesso piuttosto intenso.
A partire dal '300 - quando Dante Alighieri espulso da Firenze
componeva la sua Divina Commedia e Giotto ad Assisi rivoluzionava
per intero il concetto stesso di arte figurativa - il Cipresso
faceva la sua comparsa nei lussureggianti giardini delle ville
extraurbane di nobili e borghesi fiorentini, già bramosi
di raggiungere, su suggerimento di umanisti come Boccaccio e
Petrarca, quell'ideale classico di vita idilliaca da consumarsi
lentamente in un ambiente verdeggiante e prosperoso. E' qui,
fra le morbide colline toscane e nelle opere d'arte volute da
quei colti facoltosi mecenati del Rinascimento, che il Cipresso
gioca un ruolo fondamentale, proponendosi come cornice reale
o ideale dei loro sogni e delle loro ambizioni. Di questo argomento,
che ovviamente merita uno spazio maggiore rispetto a quanto
me ne sia ragionevolmente rimasto, parliamo nei prossimi brani...
Cipressi 1, 2,
3 e 4.
Damiano Andreini
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